Bresciaoggi – 25 aprile 2009

bresciaoggi

Col <<Tavoliere delle Alpi>> la musica non ha tempo.

La “Compagnia della Vocata” rilancia la tradizionale pizzica.

IL DISCO. Una produzione dell’Associazione Culturale Alchechengi.

La musica che non conosce tempo, quella che parla del quotidiano, di gioia e di dolore, di lavoro e di amore; la musica che trae ispirazione dalle strade, dai cortili, dai campi di grano, luoghi nei quali, quasi per magia, confluiscono i sentimenti umani più autentici e le emozioni si traducono in suoni e ballate coinvolgenti.

E’ la musica popolare, le cui radici affondano nella recente opera discografica della Compagnia della Vocata prodotta dall’Associazione culturale “Alchechengi” di Prevalle, ovvero “Il tavoliere delle Alpi”, registrata – quasi ad esorcizzare le antiche usanze secondo cui testi e melodie venivano semplicemente cantati dal vivo – lo scorso settembre a Soiano. Voce, chitarra, flauto e castagnette di Enzo Santoro, l’anima del gruppo nato nel 2001 proprio con l’intento di divulgare la musica popolare, trovano nel multiforme terreno di ricerca offerto dal disco perfetta sintonia con il violino di Stefano Zeni e la fisarmonica del bresciano Davide Bonetti (autore anche delle immagini e della grafica).

Pochi strumenti, ma una grande sonorità che rimanda al profondo Sud, nel cuore del Salento, dove ancora oggi la pizzica sopravvive, anche se non più nella sua funzione sociale, bensì come luogo della memoria e di festa collettiva. Sul tempo dirompente dell’antica danza popolare prendono forma nove intensi brani, tra dialetti locali, atmosfere barocche,tarantelle della tradizione salentina,del Gargano, con qualche rara ma efficace divagazione nelle melodie calabresi e siciliane. Una musica schietta, che non accetta compromessi con il consumismo folcloristico dei giorni nostri, nella quale scorrono usi e costumi di un tempo, celebrazioni religiose e riti pagani, ma anche credenze, come quella tutta salentina legata al tarantismo, che fu oggetto di ricerca per Ernesto De Martino. Con “La terra del rimorso”, cui i tre artisti si ispirano, nel 1959 lo studioso dimostrò come certe pratiche rituali abbiano la funzione di scongiurare le ansie di un’esistenza fragile, fornendo un’interpretazione del fenomeno dal punto di vista storico, culturale e religioso. Negli sfrenati balli dei tarantati esplode tutto il dolore inespresso delle classi subalterne; le sofferenze di un intero popolo passano così dal morso rivelatore della tarantola alla liberazione collettiva grazie alla musica. Una lettura che ha fatto scuola e alla quale il trio è riuscito a dare la cornice musicale più appropriata.

(P. Bor.)

il tavoliere delle alpi